Il Quadro comune e la grammatica

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di Leonardo Gandi

Uno degli obiettivi del Quadro è fornire agli insegnanti “i mezzi per riflettere sulla loro pratica abituale” (p.1). Per favorire questa riflessione il Quadro fa ripetutamente professione di “neutralità” teorica e metodologica (pp.23, 175). Ciò nonostante alcune “preferenze” sembrano rintracciabili nel testo, con maggiore o minore chiarezza. Provare a esplicitarne alcune può essere un utile passo preliminare alla riflessione. Questo breve articolo si propone di cominciare a farlo, limitandosi a un singolo aspetto della pratica didattica, il “fare grammatica”.

1. L’obiettivo di un insegnamento linguistico è, nel Quadro, lo sviluppo di una “competenza di azione”: l’“apprendente-utilizzatore” di una L2 dovrà saper “fare cose con la parole”. Mentre impara a compiere queste “azioni”, sviluppa anche le competenze linguistiche per compierle: “L’uso della lingua, incluso il suo apprendimento, comprende le azioni compiute da persone che, in quanto individui ed attori sociali, sviluppano una gamma di competenze sia generali sia, nello specifico, linguistico-comunicative” (p.12). Quando uno studente si impegna per es. nella lettura di un testo complesso o in una conversazione naturale con un compagno, sta dunque sviluppando competenze di azione, comunicative e linguistiche, quindi anche grammaticali. L’uso della lingua è non solo il fine di un apprendimento linguistico ma anche un suo potente mezzo. Si può apprendere “in modo efficace (sotto l’aspetto linguistico e socioculturale) dall’osservazione e dalla partecipazione diretta a eventi comunicativi, sviluppando e sfruttando le abilità percettive, analitiche ed euristiche” (p.133). La competenza grammaticale cioè non si sviluppa soltanto attraverso lo studio esplicito della grammatica.

2. Coerentemente con questo approccio pragmatico, la competenza grammaticale è considerata non solo come conoscenza della grammatica di una lingua ma anche, e forse soprattutto, abilità di farne uso (pp.138, 185). Per usare la metafora automobilistica presente nel Quadro (p.14) posso sapere come e perché ingranare la seconda in salita, ma mi occorre della pratica per scalare agevolmente quella salita. Poiché secondo il Quadro il solo uso della lingua non è condizione sufficiente allo sviluppo e al dispiegarsi delle competenze grammaticali (p.172), il documento si interroga sui modi in cui è possibile facilitarne lo sviluppo attraverso pratiche orientate specificamente a questo scopo, cioè “facendo grammatica”. Ne elenca cinque. Ben quattro si fondano su un paradigma di tipo induttivista e solo una sullo schema “presentazione di modelli + spiegazione + esercizi formali” (p.186). Altrove si scartano più o meno esplicitamente la memorizzazione e la riproduzione di frasi come formule fisse (p.138). Ci sono tuttavia altri passaggi in cui il Quadro sembra obliquamente abbracciare un approccio più tradizionale riferendo che “di solito” ci si comporta così: “selezione, ordinamento, presentazione graduale e esercitazione di nuovo materiale, partendo da brevi frasi” (p.185, trad. modificata). Qui non si indica solo un modo di fare grammatica ma anche il suo dominio: la frase. Si suggerisce tuttavia di tenere conto anche di alcune “relazioni interfrastiche”, come l’anafora, anche se l’esempio portato non va oltre la relazione fra due frasi (p.186).
Una posizione più univoca riguardo al come fare grammatica emerge considerando la preferenza accordata dal Quadro al “compito” come attività di apprendimento (pp.19, 191-92). Un compito comporta una serie di azioni volte a un certo scopo, generalmente implicante la soluzione di uno o più problemi. I compiti più tipici sono quelli comunicativi, ma ve ne sono anche di orientati a risolvere problemi formali. Molti aspetti distinguono entrambi dagli esercizi. Questi sono basati sulla manipolazione di forme isolate dal contesto e su una logica vero/falso, i compiti sono costruiti come esperienze di ricerca, ammettono avvicinamenti progressivi alla “verità”, valorizzano il processo rispetto al prodotto, richiedono una lingua contestualizzata. Alla nozione di “compito” si accompagna strettamente quella di “testo”. (p.12, 19-20). Proporre il compito come l’attività di apprendimento per eccellenza comporta allora considerare la testualità come il terreno migliore per la riflessione grammaticale.

3. L’apprendente-utilizzatore del Quadro è una persona che agisce nella società tramite il linguaggio e, viceversa, è una persona su cui la società agisce tramite il linguaggio. Non può perciò accontentarsi di conoscere forme e significati delle parole, astratte relazioni tra forme e tra forme e significati. Gli è necessario conoscere le relazioni “fra i segni e i parlanti”. Ecco perché il Quadro riserva un ampio spazio alla pragmatica (pp.150-59), disciplina che studia “l’ancoraggio della lingua alle circostanze in cui viene prodotta” (Camilla Bettoni, Usare un’altra lingua, Laterza, Bari, 2006, p. 74). Le competenze pragmatiche riguardano norme culturalmente determinate che governano per es. i modi di partecipare a una conversazione, di esprimere e interpretare l’espressione di emozioni, di ottenere efficacia retorica ed effetti di stile e registro ecc. La pragmatica insomma si fa carico del fatto che capire i suoni, le parole e la grammatica non è tutto. Due conseguenze: se desidero sviluppare le mie competenze linguistiche devo sapere che le forme grammaticali non sono tutte le forme che vale la pena studiare; se desidero sviluppare le mie competenze pragmatiche devo misurarmi con “discorsi veri tenuti da persone vere”, testi e contesti; lavorare con frasi isolate avulse da contesti mi servirà a poco.

4. La programmazione di un insegnamento linguistico è centrata nel Quadro sulla persona dello studente e sui suoi bisogni di “attore sociale” (p.11) e non sulla lingua studiata. Il criterio che organizza le attività di apprendimento sembra perciò dettato dalla complessità e varietà delle esperienze comunicative cui partecipare e non solo (non tanto?) dalla complessità inerente alle strutture della lingua (p.185). Un sillabo grammaticale potrebbe allora, non solo essere costruito sulla scorta di un sillabo nozionale-funzionale (p.185) ma avere inoltre una struttura flessibile, non rigidamente sequenziale, poiché i testi e i discorsi autentici che lo studente incontra frequentemente (cosa che il Quadro sembra nel complesso auspicare) “è probabile […] presentino nuove strutture ed anche categorie che l’apprendente abile potrà acquisire e usare attivamente prima di altre che, per definizione, sono più elementari”(p.185).

5. Lo studente delineato dal Quadro è una persona che non disdegna di “prendere iniziative e correre rischi” (p.15), è capace di “osservare e partecipare a nuove esperienze e di integrare nuove conoscenze con quelle esistenti […] di affrontare le difficoltà in modo più efficace e indipendente, di valutare le opzioni esistenti e di sfruttare meglio le opportunità offerte” (pp.131-32). Sono considerazioni impegnative, che sembrano anche qui indicare una preferenza circa i modi di lavorare, di fare quindi anche grammatica, almeno con “questi” studenti. Modi che sappiano sfidarli ad avere fiducia nelle proprie risorse, ad essere indipendenti dall’insegnante, a contare sulle capacità di osservazione, a formulare ipotesi e sperimentarle, senza considerare gli errori un fatto negativo, guardando alla correttezza formale più come a un’aspirazione che a un criterio di giudizio.

L’approccio del Quadro alle metodologie di insegnamento vuole essere il più possibile descrittivo, evitare “posizioni aprioristiche e dogmatiche” (p.175). È parso però di poter notare alcune preferenze, che introducono una nota dissonante nel neutralismo professato. Non è da credere che questo pregiudichi la riflessione di un insegnante “intenzionato a rivedere e comunicare le proprie scelte inserendole nel quadro generale” (p.174). C’è invece un punto, strettamente connesso proprio al neutralismo metodologico del Quadro, che può produrre un malinteso. È la tesi secondo cui l’efficacia di un metodo dipende “dalle motivazioni e dalle caratteristiche degli apprendenti” e “dalle risorse umane e materiali” (p.175). Tesi condivisibile, nonostante la genericità di queste “risorse umane” (presumibilmente: insegnanti che siano “bravi”) ma incompleta. Il metodo (il modo di fare grammatica, per stare al nostro tema) diventa una semplice, non decisiva variabile. Non “questo” o “quel metodo”, è ovvio, ma proprio il metodo in sé, l’idea che fare le cose in un modo piuttosto che in un altro abbia a che vedere con la qualità e la riuscita di un lavoro. Dire che l’efficacia di un metodo dipende anche da cosa un metodo prescrive di fare non significa porsi su un piano prescrittivo. Ma può essere un buon argomento contro un eclettismo degradato per il quale, se sei un “bravo” insegnante con studenti versati e motivati, allora qualsiasi cosa tu faccia sarà comunque “efficace”.

Citazioni e numeri di pagina si riferiscono, salvo dove diversamente indicato, all’edizione italiana, Quadro comune europeo di riferimento per le lingue: apprendimento insegnamento valutazione, R.C.S. Scuola S.p.A. Milano, La Nuova Italia-Oxford, 2002

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