Lingua italiana: questa è regressione

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La lingua italiana deriva dall’unione di vari dialetti della penisola e soprattutto dal toscano, il fiorentino in particolare. Una forte spinta allo sviluppo di questo dialetto l’hanno data le “tre corone” del ’400: Dante, Petrarca e Boccaccio. Era volontà del primo, infatti, costituire una lingua nazionale volgare ma di alto livello che diventasse la lingua dei letterati per eccellenza, il latino. Anche se nel Convivio sembra prediligere la lingua dell’Impero, il “piatto” principale del banchetto adatto ai più colti, al volgare, gli “avanzi”, nel De vulgari eloquentia sostiene essenzialmente il contrario.

Il volgare sarà la lingua del futuro, paragonata al cardine della porta attorno al quale ruota tutta la cultura; sarà la lingua aulica e curiale, quindi usata dalle classi sociali più elevate e colte, e darà luce a tutto il sapere. Il latino è caduto in disuso, forse perché il popolo non lo sentiva più come proprio e aveva bisogno di comunicare usando una lingua semplice e diretta, comprensibile anche a chi non aveva affrontato studi superiori; come dichiara lo scrittore Erik Orsenna, le parole che non vengono più usate correttamente implicano la “morte” della cultura stessa di quella determinata lingua. Il volgare ha soppiantato il latino, in un primo momento modificandone solo il lessico e mantenendone quasi intatta la costruzione sintattica. Come prova di questa tesi si veda la Comedìa di Dante, nella quale non è raro trovare il verbo “temere” più il “non” della costruzione latina per dare significato complessivo positivo, oppure le proposizioni consecutive, molto simili alla tradizionale “ut” più congiuntivo. Anche in Giovanni Boccaccio è possibile trovare tracce di latinismo come ad esempio la sintassi molto simile alla costruzione del “cum narrativo” (cum più congiuntivo) e vari artifici retorici che rimandano non poco alla sintassi complessa di Cicerone. Allora, però, il problema riguardava una sola lingua, mentre adesso si fa sempre più aspra la lotta tra l’inglese, la nuova lingua franca, e l’italiano. La lingua britannica è diventata una specie di passe-partout che viene usato nella maggior parte delle città turistiche di tutto il mondo, negli aeroporti, nelle stazioni, nei menù dei ristoranti. Non è affatto probabile, almeno in un futuro prossimo, che l’italiano venga “lavato via” con un colpo di spugna, ma di certo il processo di integrazione del lessico inglese aumenterà notevolmente; sostituirà soprattutto quei “mostri linguistici” della burocrazia: parole come “corpo contundente”, “profondo cordoglio”, “esubero”, “referenziare”, “lo scrivente”, considerate molto spesso arcaismi, verranno abbandonate. Il fenomeno di integrazione, e sopravvento (a lungo andare), dell’inglese non riguarda solo la sostituzione di una parola con un’altra, ma addirittura di un’intera frase con un solo termine, basti pensare a “stalking” e “rating”. L’inglese sta diventando la lingua universale, non solo per i turisti, ma, soprattutto, per la comunità politica europea in generale, e questo principalmente perché ha una grammatica semplice, priva di coniugazioni e tempi verbali che spesso ci mettono in difficoltà e che sentiamo quasi “estranei” come a esempio il passato remoto del verbo “cuocere”. In ogni caso la colpa della crisi sempre più acuta della lingua italiana non va solamente attribuita a un fattore “esterno” alla Penisola, la lingua inglese, ma anche a un fattore “interno”. La “regressione” linguistica inizia sin dall’infanzia: i bambini passano ore e ore a guardare la “tv spazzatura”, da tempo al centro di molte critiche ma tuttora in piedi, e non smettono nel corso degli anni seguenti; infatti i ragazzi “si interessano” prevalentemente, se così si può definire questo loro atteggiamento, ai reality e alla soap ed evitano i documentari e i telegiornali, ritenuti programmi da “matusa” o con un linguaggio “antico” e troppo difficile/incomprensibile per loro che sono abituati alla semplicità di segni e icone propri di cellulari e computer. Si è creato in questo modo, il cosiddetto gergo di gruppo, un italiano misto di inglese e storpiature nelle sue forme e nei suoi significati. Che si stia ritornando alla scrittura iconografica? Sicuramente questa visione del fenomeno è drastica ma abbastanza significativa per lanciare l’allarme di “ossidazione” della lingua italiana. Di questa sono colpevoli, oltre che i mezzi di comunicazione, anche i genitori, i primi che dovrebbero trasmettere ai figli l’importanza della cultura e l’interesse a comunicare attraverso una lingua con un lessico ricco e vario e non costituito esclusivamente da monosillabi. Fin dai tempi dei romani e nei secoli successivi, fino al XX, la lingua è cambiata e si è evoluta: non è giusto, quindi, che siamo proprio noi del nuovo millennio a porre un freno a questo importante sviluppo.

Rosa Mineo Liceo Grigoletti di Pordenone

Fonte: Messaggero Veneto — 05 maggio 2009

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